Febbraio 2021
In realtà l’intervista a Silvia Camporesi è stata realizzata alcuni mesi fa, uno fra i tanti motivi per cui la pubblichiamo solo oggi è sicuramente il fatto che con questa intervista volevamo segnare l’inizio di una lenta mutazione di The Tree Mag da magazine di architettura a luogo dove è possibile trovare un punto di osservazione su alcuni aspetti della contemporaneità. Al tempo dell’intervista non eravamo ancora pronti.
Tornado a Silvia Camporesi mi piace ricordare della sua laurea in filosofia, cioè una materia che per esprimersi usa le parole e non le immagini. Ma come Silvia ci spiegherà la filosofia può essere un’ottima base per molte discipline.
La tecnica artistica di Silvia è abbastanza inconsueta infatti spesso le sue opere sono foto o video che ritraggono miniature di paesaggi realizzati da lei stessa. In questi casi il lavoro di Silvia non inizia con la macchina da presa ma con la costruzione delle realtà da ritrarre. Tra i lavori più celebri mi viene da ricordare “le città del pensiero” dove le architetture dipinte da De Chirico diventano piccole scenografie tridimensionali da poter essere ritratte. Non posso negare che alcune volte mi sono domandato come sarebbero queste costruzioni se ritratte da altri.

Tu sei laureata in Filosofia cioè una disciplina che usa il linguaggio delle parole per esprimersi. Come sei arrivata a fare la fotografa?
E’ stato un passaggio naturale, credo che la filosofia sia una radice che può alimentare qualsiasi forma di espressione. Io ho scelto la fotografia, perché l’ho sentita molto affine alle mie possibilità.
Cosa sono le conversazioni sulla fotografia?
Sono un format che ho ideato dieci anni fa: invito altri fotografi a raccontare, davanti ad un ampio pubblico (a Forlì, dove vivo), la loro carriera e i loro progetti, in un dialogo con me. Nel 2019, per il decennale del progetto, abbiamo pubblicato un libo con Contrasto che raccoglie 9 fra le conversazioni più interessanti, con autori come Guido Guidi, Nino Migliori, Mario Cresci, Olivo Barbieri.
Oggi grazie al digitale ed ai social network è possibile vedere una quantità immensa di foto e di persone che si cimentano in questa disciplina. Che rapporto ha con questi strumenti?
Li uso, ma cerco di sfuggire dalla pratica compulsiva che generano nella maggioranza delle persone. Cerco di farne uno strumento di lavoro, di comunicazione, senza farmi invadere troppo dal loro “potere”.
Hai degli autori che ritieni siano stati importanti per il suo lavoro?
Sono stata folgorata da Diane Arbus, la prima volta che vidi un suo libro, molti anni fa. Non sapevo ancora nulla di fotografia, ma decisi che avrei intrapreso quella strada. Nel mio lavoro non c’è nessuna traccia di quella folgorazione, però è stata una visione determinante. Oggi ammiro molto le opere di Jeff Wall, di James Casebere, i romanzi di Murakami Haruzki e di Javier Marias. Sono tutte fonti di ispirazione sottese.
Ci sono dei soggetti che preferisci fotografare ? E’ possibile che con il tempo siano cambiati?
Ho iniziato dando molto spazio alla figura umana, poi l’ho persa completamente per strada e ora tutta la mia attenzione è dedicata al paesaggio, perlopiù italiano, reale o immaginato. Spesso ricorro all’uso di modellini, ricostruendo luoghi che poi fotografo come fossero reali, come nell’ultimo progetto “il paese sommerso”.
Oggi com’è il mercato nel ambito del tuo lavoro?
Il mercato va sempre tenuto vivo, con mostre, comunicazioni, partecipazioni di varia natura, ovvero con tutto che che dimostra l’attività instancabile dell’artista e ovviamente tanta parte è determinata da curatori e critici che hanno il compito di valorizzare l’operato dell’artista.
Arrivando ai singoli progetti, mi puoi parlare del progetto Almanacco sentimentale?
Almanacco sentimentale è un lavoro di messa in scena di storie reali o finte, che mi incuriosiscono per il loro carattere di insolito. Spesso si tratta di enigmi irrisolti o di storie reali così’ assurde da sembrare finzioni. Prendo la storia e la sintetizzo in una immagine ricostruendo in studio, attraverso modellini in scala, i luoghi e gli oggetti necessari a raccontarla.
Mi puoi parlare del progetto Mirabilia?
Mirabilia è una ricognizione, iniziata nel 2017 e ancora in corso, di luoghi italiani poco conosciuti ma di grande fascio. Luoghi nascosti, misteriosi, legati ad una sensazione di felicità nel visitarli e di coseguenza nel fotografarli. Parlo delle vie Cave di Sovana, del minuscolo vulcano del Monte Busca, delle cave di marmo di Carrara e di tanti altri luoghi sparsi nelle regioni italiane.
Cosa mi dici di “Le città del pensiero?
Le città del pensiero sono ispirate alle opere di De Chirico. Ho immaginato come sarebbero oggi, a più di cento anni di distanza, le città e le piazze dipinte da De Chirico. Così ho ricreato in studio, attraverso l’uso di modellini, edifici presi dai suoi quadri e li ho ambientati creando una città immaginaria.