THE TREE

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La natura vista da Irene Tondelli

Agosto 2020

NOME:

Irene Tondelli

INTERVISTA by:

Andrea Carloni

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Irene Tondelli

La definizione artista mi mette sempre in soggezione, penso si possa accostare soltanto a poche persone e io sicuramente non mi sento tra quelle!

solitudine rigenerante, costruttiva, per nulla angosciante.

tanti progetti interessanti finiscono per non essere apprezzati quanto meriterebbero

viaggiare per me … non ha nulla a che fare con il mondo patinato tutto rose e fiori dei diari di viaggio che affollano i social media.

Irene Tondelli è una giovane fotografa nata a Carpi. Durante la sua vita ha potuto fare alcuni viaggi “molto faticosi” ed il risultato sono alcune di queste foto. La natura ritratta da Irene Tondelli ti attrae, il motivo forse sta nel fatto che guardando alcuni scatti  viene da domandarsi se sono stati scattati sul nostro pianeta, in altri se si è fermato il tempo oppure semplicemente perché sembrano avere una corsia preferenziale per comunicare con le parti profonde della nostra coscienza. Irene Tondelli non si vede come un artista ma fa quello che gli artisti dovrebbero fare, cioè catturare e stimolare l’identità dell’osservatore.

Irene Tondelli

Quando hai deciso che il tuo lavoro sarebbe stato quello di fare l’artista?

Ciao a tutti innanzitutto e grazie per questa chiacchierata.
La definizione artista mi mette sempre in soggezione, penso si possa accostare soltanto a poche persone e io sicuramente non mi sento tra quelle! Lavoro in ambito creativo, dalla comunicazione alla grafica, sto muovendo i primi passi nella curatela ed ovviamente mi occupo di fotografia. Fotografare da che ne ho memoria mi ha sempre affascinata anche se la cosa che preferivo in assoluto da bambina era disegnare. Mi riconosco nella parola fotografa perchè evoca l’idea di un mestiere, la manualità, l’artigianalità, il saper fare. È una parola concreta e solida, mi da sicurezza.

Guardando le tue foto sembri molto attratta dal nord, dal freddo, dalle rocce e forse anche dalla solitudine, potrebbe essere una giusta interpretazione?

Sicuramente una corretta chiave di lettura è la solitudine. Ma una solitudine rigenerante, costruttiva, per nulla angosciante. Per me è sempre sinonimo di libertà. Il freddo, gli elementi naturali come rocce, montagne, vegetazione sono un mezzo per raccontarla, talvolta sono personaggi di una storia.

Oggi nonostante sia così facile trovare e pubblicare foto avete realizzato Fanzastic che pubblica su carta progetti indipendenti. Perche?

Fanzastic è un progetto-evento ideato insieme a Walter Borghisani, ed è nato dall’esigenza di attirare l’interesse dei non addetti ai lavori nei confronti del mondo dell’auto-pubblicazione indipendente nelle realtà di provincia.
La prima edizione è stata ospitata da Comò Lab a Reggio Emilia.

Ci piaceva l’idea di instaurare un dialogo costruttivo tra cittadinanza ed autori attorno a un mondo accessibile a tanti ma non sempre di così facile lettura. Molto spesso l’offerta culturale ed i fruitori reali mi sembrano distanti, tanti progetti interessanti finiscono per non essere apprezzati quanto meriterebbero e questo perchè non adeguatamente valorizzati e resi accessibili. Spesso tutto resta all’interno della piccola cerchia di creativi che fa gruppo in ogni città. Lo trovo riduttivo oltre che poco stimolante.

Una domanda che ho fatto già ad altri tuoi colleghi. Che rapporto hai con il viaggio?

Molto controverso perchè sono una persona tendenzialmente abitudinaria, ma altrettanto consapevole che troppa linearità finisce per annoiarmi e rendermi apatica. Forse questo è dovuto anche al fatto che viaggiare per me è sinonimo di tenda, sacco a pelo, fornelli a gas e pasti disidratati, camminate di ore e ore con l’attrezzatura in spalla. Non ha nulla a che fare con il mondo patinato tutto rose e fiori dei diari di viaggio che affollano i social media. Viaggiare diventa quindi fondamentale, magico ed allo stesso tempo un po’ doloroso e faticoso. Ma credo che senza sacrificio non si vada da nessuna parte: le foto migliori che ricordo le ho scattate in momenti di assoluta scomodità che paradossalmente mi facevano sentire molto connessa con il paesaggio.

C’è un soggetto o luogo che desidereresti ardentemente fotografare?

L’Antartide. Vorrei anche tornare nella Foresta Amazzonica, ci sono stata lo scorso autunno, nella parte peruviana. Mi ha molto affascinata ed allo stesso tempo turbata. Vorrei tornare e vedere che effetto mi fa, magari restare più a lungo, per darmi il tempo di digerire almeno un po’ la situazione.

Adesso una domanda più materialistica, per i giovani emergenti come te quali sono i canali più comuni per ottenere dei profitti?

Probabilmente fare l’assistente fotografo o dedicarsi e specializzarsi in un settore commerciale. Io personalmente preferisco separare le cose, seguire progetti fotografici che mi appassionano e far correre questa attività parallelamente a quella nel campo della comunicazione. Non mi annoio, mi permette di sentirmi in costante evoluzione e di scendere a meno compromessi.

Mi riconosco nella parola fotografa perchè evoca l’idea di un mestiere, la manualità, l’artigianalità

attirare l’interesse dei non addetti ai lavori nei confronti del mondo dell’auto-pubblicazione indipendente

troppa linearità finisce per annoiarmi e rendermi apatica.

credo che senza sacrificio non si vada da nessuna parte

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