Francesco Meda: lavorare per le grandi aziende e rimanere un designer indipendente
By Andrea Carloni e Carlotta Ferrati
Settembre 2019
Francesco Meda è un designer milanese di cui vogliamo sottolineare l’appartenenza perché come lui stesso ci spiegherà durante l’intervista Milano è ancora uno dei riferimenti imprescindibili per chi si occupa di design.
Dopo gli studi in Italia ha avuto modo di lavorare in alcuni importanti studi internazionali, poi ha deciso di tornare nel suo paese e di iniziare a lavorare con il padre Alberto. Da questa collaborazione sono nati diversi prodotti per importanti aziende e tra questi il progetto Flap per Caimi con il quale hanno vinto il Compasso d’Oro. La possibilità di lavorare per brand internazionali, se per molti è un traguardo, per Francesco Meda è stato un punto di partenza che negli anni lo ha portato a praticare un’attività sempre più prolifica di autoproduzione.

Francesco Meda
Hai studiato in italia e poi sei andato via per un po’ di tempo; potresti raccontarci il tuo percorso formativo?
Mi sono laureato allo IED nel 2007, poi sono andato a Londra nello studio di Sebastian Bergne. Eravamo solo io, Sebastian ed un suo assistente, in questa dimensione così intima ho imparato molto. Successivamente ho scelto una tipologia di studio molto più strutturata e sono andato da Ross Lovegrove. Qui ho capito che cambiando dimensione dello studio cambia anche l’approccio al progetto. Nel 2009 ho deciso di tornare in Italia ed ho chiesto a mio padre, che ha uno studio a Milano, se potevo iniziare un’esperienza da lui. Anche mio padre, come Sebastian Bergne, ha uno studio che mi sento di definire anomalo perché ha quasi sempre lavorato da solo. Qui ho imparato e potuto vedere tutte le fasi che riguardano lo sviluppo di un prodotto e tra queste alcune non progettuali come il rapporto con il cliente.

Francesco Meda – Split Chair per Colos – 2016
Immagino che questo ultimo aspetto sia molto importante…
Dopo 5 o 6 anni che lavoravo da mio padre come assistente abbiamo iniziato a progettare degli oggetti insieme e ciò mi ha permesso di intrattenere rapporti diretti con aziende come Alias e Th.kohl. Questo è stato un indubbio vantaggio perché per un giovane designer è molto difficile entrare in contatto con aziende importanti che di solito preferiscono avvalersi di designer già affermati. Oltre a questa attività sentivo l’esigenza di fare qualcosa di completamente mio quindi ho iniziato a fare autoproduzione.

Francesco Meda – Alusion Collection – 2018
Mi piacerebbe approfondire il ruolo dell’autoproduzione nel tuo lavoro. Ce ne puoi parlare?
Il mio primo pezzo è stata una lampada: Bridge. Quando fai autoproduzione l’approccio al progetto cambia ed alcuni aspetti diventano molto importanti. In questo caso l’investimento iniziale era molto piccolo, utilizzavo solo una lamiera tagliata al laser e delle strisce led, questo mi permetteva di avere solo due fornitori. La lamiera una volta tagliata può essere piegata a mano, dopo basta applicare la striscia led ed il prodotto è finito. Queste soluzioni tecniche che mi hanno avvantaggiato a livello produttivo, sono in parte una conseguenza del fatto che sapevo che stavo facendo autoproduzione, e quindi ogni passaggio doveva essere ben studiato e semplificato. L’idea iniziale era quella di spedire il foglio di metallo da piegare e assemblare direttamente al cliente, poi su quest’ultimo punto ho cambiato idea.

Francesco Meda – Bridge – 2014
Fare autoproduzione vuol dire non fare solo il progetto…
Esatto, è come essere una piccola azienda. Ti devi occupare dei rapporti con i fornitori, della logistica e dello stoccaggio, della promozione e della vendita, della distribuzione, della spedizione etc.
Anche se c’è voluto un notevole impegno la lampada ha avuto successo al Salone del Mobile ed è stata molto pubblicata, questo ha iniziato a farmi conoscere ed alcune aziende mi hanno chiesto delle collaborazioni.
La prima è stata Caimi chi ci ha chiesto di progettare dei pannelli fonoassorbenti. È stato il primo progetto che ho sviluppato insieme a mio padre. Ho pensato più al disegno mentre lui, avendo un background da ingegnere, si è occupato prevalentemente delle soluzione tecniche e pratiche. I pannelli, pur essendo degli oggetti funzionali, hanno un carattere scultoreo e sono stati pensati per essere non nascosti ma bensì mostrati all’interno dello spazio che li contiene. Questo progetto ci ha dato un’ulteriore visibilità perché ci ha permesso di vincere nel 2016 il Compasso d’Oro.

Francesco Meda – Flap per Caimi – 2016
Nel tuo sito troviamo i progetti che hai fatto per le varie aziende ed anche una sezione “Limited Edition”. Di cosa si tratta?
Come ti dicevo prima in pratica faccio il designer in due mondo distinti. Il primo è quello del lavoro classico dove collaboro con le aziende, il secondo è invece l’attività di autoproduzione e Limited Edition si occupa di quest’ultima.
Perché oggi molti designer praticano l’autoproduzione?
Uno dei motivi è sicuramente il fatto che si riesce ad avere un giudizio da parte del consumatore in maniera molto più veloce rispetto alla classica filiera della produzione tramite azienda. Per farti un esempio, se un cliente ordina uno dei miei tavoli, io procedo a disegnarlo secondo le sue esigenze e dopo l’approvazione in circa un mese può averlo a casa. Dall’altra parte il progetto con l’azienda richiede di solito più di un anno solo per svilupparlo, poi serve la commercializzazione e la vendita. Quindi detto in poche parole occorre qualche anno per capire come il tuo progetto verrà recepito dall’utente finale.

Francesco Meda – Split round Onyx Tiger marble
Per gli oggetti in autoproduzione che canali di vendita utilizzi?
Per alcuni pezzi come la lampada Bridge, che è un vero e proprio oggetto prodotto in serie ed in linea con i prezzi di mercato, mi comporto come se fossi un’azienda e quindi uso i canali canonici. In questo progetto uso il solito processo produttivo che avrebbe utilizzato una grande azienda, l’unica differenza è che io realizzo molti meno pezzi e quindi mi accontento di ottenere dei margini più bassi. Altri designer hanno un approccio con i loro progetti diverso e alcune volte realizzano proprio loro l’oggetto, creano dei pezzi che sono assimilabili quasi a delle opere d’arte e spesso vengono commercializzati dalle gallerie d’arte. Questo approccio non prende affatto in considerazione l’aspetto della produzione industriale.
L’autoproduzione credo sia possibile anche grazie ad i nuovi mezzi di comunicazione…
Sì, certo. Se fosse stato dieci anni fa, avrei fatto la mia lampada che tu avresti pubblicato sul tuo magazine cartaceo ed l’avrebbero vista soltanto qualche centinaio di persone. Oggi con le piattaforme online si raggiungono facilmente migliaia e migliaia di persone. Va anche detto che però questo ha permesso di avere una quantità di prodotti immensa che ha provocato una saturazione del mercato.

Francesco Meda – Split round Onyx Tiger marble
Che rapporto hai con i materiali? Ne hai qualcuno che preferisci?
In realtà no. Mi piace la materia in sé.
Quando lavoro con il legno voglio che siano valorizzate integralmente le sue caratteristiche e quindi preferisco non trattarlo con prodotti che limitano questi aspetti. Quando uso l’ottone mi piace che con il tempo possa ossidarsi, un approccio simile l’ho anche con la pietra. Preferisco che la natura faccia il suo corso e non mi piace imbalsamarla. Nei miei progetti spesso i protagonisti sono i materiali e il mio disegno deve aiutare ad enfatizzare la loro bellezza e risolvere molti aspetti tecnici. Ad esempio nei miei tavoli, sapendo che usavo un materiale come la pietra che ha un peso specifico molto alto, ho realizzato un oggetto facilmente smontabile e trasportabile grazie anche al fatto che il piano si divide in due pezzi. Dico tutto questo anche per affermare che pur facendo autoproduzione e quindi non essendo un’azienda gli oggetti che realizzo è come se lo fossero.
Da questa intervista mi sembra di capire che tu tenga molto all’autoproduzione. È così?
Ci tengo molto perché è anche uno degli aspetti più divertenti del mio lavoro.

Francesco Faccin & Francesco Meda – Samantha for Nilufar Gallery – 2017
Quando ti viene chiesto un nuovo progetto da dove parti?
Non riesco a partire con l’idea in testa di un prodotto già finito, preferisco iniziare un percorso che viene impostato prendendo in considerazione molteplici fattori. Uno dei primi è che cerco di capire le necessità del committente. Un altro la scelta dei materiali. Inoltre va detto che il mondo cambia e con lui anche gli oggetti. Se oggi mi chiamasse un’azienda per disegnare un tavolo in pietra non disegnerei mai un oggetto monolitico, il fatto che sia pesante e difficilmente trasportabile assolve poco le esigenze del vivere contemporaneo.
Oggi grazie ad internet è molto facile trovare e vedere quello che vogliamo. Velocemente possiamo accedere ad una massa immensa di informazioni. Tu che rapporto hai con questi mezzi?
Quando vado al Salone del Mobile a volte vedo talmente tante cose che alla fine non mi rimane quasi nulla. Anche se vediamo solo cose belle non siamo in grado di percepirle tutte, la bulimia d’informazione credo sia negativa. Dieci anni fa seguivo tantissimi blog di design, adesso sono molto più attratto da quello che spesso viene fatto in campi totalmente diversi. Non ho più l’ansia di sapere cosa fanno gli altri designer, preferisco essere influenzato da altre cose che mi attraggono. Alcune volte il vedere continuamente quello che fanno gli altri può quasi diventare una prigione progettuale, invece se vogliamo cercare di alzare un po’ l’asticella e sentirci liberi di progettare bisogna imparare a distaccarsi dal sovraccarico d’informazione.

Francesco Meda – Split Chair per Colos – 2016
Tu lavori con alcune delle più importanti aziende italiane nel loro settore. Cosa vuol dire collaborare con queste grandi strutture? Come viene impostato il lavoro?
Il vantaggio di lavorare per questi grandi nomi è che c’è un know how molto forte. Il progetto è il risultato di un lavoro di squadra. Questo porta ad avere dei risultati di una qualità molto alta. Però va anche detto che quando ci sono troppe persone coinvolte il progetto può fare un po’ di fatica a concludersi. Le grandi aziende all’interno del progetto coinvolgono anche le persone che si dovranno occupare dell’oggetto una volta che è stato finito e quindi il designer si deve confrontare con i responsabili del marketing, della commercializzazione etc.
Per un designer italiano cosa vuol dire abitare a Milano?
Credo che sia basilare. Dico questo per alcuni motivi specifici ed il primo è il fatto che intorno a Milano c’è una realtà manifatturiera di qualità altissima in ogni campo. Questo dà ad un designer la possibilità di seguire facilmente tutte le fasi costruttive del suo progetto spostandosi all’interno del raggio di 20 km dal centro di Milano. Cosa che sarebbe impossibile abitando a migliaia di chilometri. Altro componente importante di Milano sono le relazioni umane, basti pensare che nella solita città si svolgono il Salone del Mobile e la Triennale. La maggior parte del business mondiale relativo al mio mestiere passa da Milano.
