Barozzi Veiga: dare il giusto tono ad ogni architettura
By Nico Fedi & Paolo Oliveri
Luglio 2019
Fabrizio Barozzi viene da Rovereto, ma decide di fondare il suo studio professionale, in coppia con il collega Alberto Veiga, a Barcellona. È uno dei giovani più promettenti del panorama internazionale. La capacità di ricercare il giusto equilibrio tra specificità e autonomia dell’architettura ha permesso allo studio di vincere numerosi concorsi internazionali, e conseguire nel 2015 il Mies Van der Rohe Award con la Filarmonica di Szczecin in Polonia.
Nonostante il periodo attuale di crisi, pensi che il sistema del concorso sia un valido strumento per fare e promuovere l’architettura?
Sì, assolutamente. È un sistema che noi continuiamo a sostenere, ed è stato fondamentale fin dall’inizio della nostra carriera, e credo che sia ancora uno degli strumenti più efficaci per chi inizia questo mestiere. Tutto poi dipende dal capire come è fatto il concorso, con quali metodologie, ecc. Il range dei concorsi è molto ampio, ci sono i concorsi di idee, quelli aperti, oppure su selezione o invito; ogni paese ha una sua specificità. Io credo che per ogni progetto ci sia una tipologia di concorso che più adatta.

Barozzi Veiga, Philharmonic Hall Szczecin – Szczecin, Poland 2007 – 2014 photo: Simon Menges
Quali sono, in base alla tua esperienza, le differenze tra l’approccio di un architetto che lavora in Spagna rispetto ad un collega in Italia?
Non credo che ci siano grandi differenze. Forse quella più sostanziale è legata alla formazione universitaria: in Italia c’è un approccio più umanistico all’architettura, mentre qui in Spagna è più tecnico, di conseguenza gli studenti italiani e quelli spagnoli partono con conoscenze un po’ diverse, anche se questo aspetto si percepiva di più qualche anno fa, adesso più o meno il punto di partenza è lo stesso. Anche la metodologia di lavoro è all’incirca la stessa; la differenza sta più che altro nel mercato, ossia al tipo di lavoro al quale un architetto può attingere.

Barozzi Veiga, MCBA Musée Cantonal des Beaux-Arts – 2019 Lausanne – Photo: Simon Menges
Quindi ci sono più occasioni di lavoro in Spagna?
No, adesso per nulla! Dieci o quindici anni fa c’era un mercato molto più dinamico, con tanti concorsi anche per giovani. Adesso la crisi ha messo il sistema in ginocchio; noi addirittura sono più di dieci anni che non lavoriamo in Spagna! Questo ti dà l’idea di quante occasioni ci siano…

Barozzi Veiga, Music School Bruneck Brunico, Italy 2012 – 2017 – Photo: Simon Menges
Ci vuoi spiegare, a grandi linee, qual è il vostro metodo di lavoro?
Ogni volta che iniziamo un lavoro o un concorso, anche se ultimamente ne facciamo sempre meno, costituiamo un team in funzione del tipo di lavoro; c’è sempre una prima fase, molto ampia, di ricerca, studio, analisi del programma, dove lasciamo i ragazzi lavorare per conto proprio. All’inizio io e Alberto (Veiga, ndr) stiamo sempre più distanti, e diamo molto spazio ai nostri collaboratori, in modo che questi facciano proposte e riflessioni. Piano piano, quando iniziamo ad essere più familiari con il progetto e le varie richieste che lo compongono, allora cominciamo a lavorare in prima persona, così da allargare il team. Ad un certo punto c’è un momento di svolta, quando sappiamo quello che vogliamo fare, come dobbiamo farlo, e quindi andiamo più a fondo.

Barozzi Veiga, Philharmonic Hall Szczecin – Szczecin, Poland 2007 – 2014 – Photo: Simon Menges
Nelle vostre architetture si percepisce molta attenzione al concetto di massa, rispetto alla leggerezza, e una predilezione per i materiali che danno una sensazione di solidità, come il calcestruzzo e la pietra. Ci vuoi dire perché?
Sì, è vero; nel nostro modo di lavorare c’è quasi sempre una ricerca su degli edifici monomaterici, che danno un’idea di massa scavata, lavorata. È un tema che c’è stato fin da subito nel nostro approccio all’architettura, in maniera non del tutto cosciente, ma a poco a poco ci siamo resi conto che faceva parte di noi, del nostro modo di intendere l’architettura, e adesso è quello che ci caratterizza maggiormente.

Barozzi Veiga, MCBA Musée Cantonal des Beaux-Arts – 2019 Lausanne – Photo: Simon Menges
Cerchiamo sempre che i nostri edifici siano “radicati”, sia fisicamente che contestualmente; lavorare con la massa, dar peso, gravità e presenza fisica è quello che ci interessa. E questo accomuna tutto il nostro lavoro; cerchiamo sempre che l’edificio “nasca” in qualche modo dal suolo, e che siano la stessa cosa. Da qui la volontà di lavorare con materiali che danno sensazioni di massa. Poi ogni edificio tende ad avere una sua specificità e identità, ma l’idea di massa ci piace sempre trasmetterla attraverso le nostre architetture.

Barozzi Veiga, MCBA Musée Cantonal des Beaux-Arts – 2019 Lausanne – Photo: Simon Menges
In passato hai affermato che il vostro lavoro ricerca sempre un equilibrio tra la specificità e l’autonomia dell’architettura. Quali sono le motivazioni di questo approccio?
Questo fa parte della nostra biografia, di come è nato lo studio; fin all’inizio abbiamo sempre lavorato molto in giro, direi quasi per necessità abbiamo iniziato a far concorsi un po’ ovunque. Quindi da una parte c’era questa volontà di capire come confrontarci con situazioni e sensibilità diverse, senza mai imporre qualcosa, ma riuscire ad assorbire ciò che è speciale e identitario di un luogo. Del resto, sappiamo comunque che l’architettura è una disciplina che ha il suo bagaglio, non solo storico; ci sono delle logiche che abbiamo imparato e che ci portiamo dietro e che non sono legate ad un determinato contesto, ma sono quasi universali. Siamo coscienti che c’è anche questa parte, la volontà che l’edificio abbia un valore in sé, indipendentemente da una relazione contestuale. Alla fine, ci siamo resi conto che tutti i nostri progetti giocavano sempre tra questi due opposti: essere parte di qualcosa, ma al contempo identificare una certa autonomia formale. Nel corso degli anni abbiamo capito che questa metodologia di lavoro, ossia la dialettica tra i due opposti, era nata proprio in relazione a come era nato lo studio, ed ora si è stabilita in maniera sostanziale nella nostra ricerca progettuale.

Barozzi Veiga, Music School Bruneck Brunico, Italy 2012 – 2017 – Photo: Simon Menges
Da cosa deriva la scelta stilistica di presentare i vostri lavori con immagini in bianco e nero?
Nel nostro modo di lavorare ci interessa ridurre l’edificio alle sue forme più essenziali e basilari. Esprimere questo aspetto senza l’uso del colore ma solo in bianco e nero è affine al nostro pensiero. Lavorando in bianco e nero non ci sono fronzoli nell’immagine; vedi la forma dell’edificio, capisci come la luce lo lavora, capisci come può funzionare in un contesto, senza la necessità di addobbarlo o vestirlo con altre cose. La stessa “crudezza” che c’è in qualche scelta progettuale poi si riflette nel modo di presentare l’edificio.

Barozzi Veiga, Philharmonic Hall Szczecin – Szczecin, Poland 2007 – 2014 – Photo: Simon Menges
Molti dei vostri progetti sono edifici per la cultura, come musei o auditorium. Sono temi che sentite più vostri e quindi privilegiate, oppure si tratta di un filone che avete perseguito, orientandovi su questo tipo di architetture?
Direi entrambe le cose. Quello che ci interessa è aver sul tavolo di lavoro sempre tipologie diverse, non ci siamo mai voluti specializzare in un certo tipo di programma. È vero anche che negli ultimi anni, per una serie di concorsi che abbiamo vinto, il lavoro è stato più che altro su edifici a carattere culturale. Forse perché in quell’ambito c’erano più concorsi, non saprei… È stato un po’ casuale il fatto di iniziare a lavorare con edifici culturali, poi però è stato invece ricercato; lavorare con programmi che hanno a che fare con un edificio pubblico, con spazi pubblici interni ed esterni, ci interessa molto e ci mette a nostro agio. Resta il fatto che ci piace fare un po’ di tutto, non ci mettiamo dei paletti.
