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Un’intervista a Marco Casamonti – Studio Archea Associati

Un’intervista a Marco Casamonti – Archea Associati

By Andrea Carloni & Carlotta Ferrati

July 2018

Ecco l’intervista nata dopo una lunga chiacchierata con Marco Casamonti, fondatore dello studio Archea Associati. Da un certo punto di vista, parlare con Marco Casamonti è come avere la possibilità di dialogare con quattro persone distinte contemporaneamente. È il fondatore di uno dei più importanti studi di architettura italiani e professore ordinario della Facoltà di Architettura di Genova. È stato infine direttore di importanti riviste e scrittore di libri di architettura.

Marco Casamonti - Founder of Archea Associati - Florence, Italy

La prima domanda è quasi ovvia. Come riesce a fare così tante attività?

La risposta è semplice: facendo molti sacrifici!
Ho destinato una grandissima quantità del mio tempo soltanto al lavoro.
Anche se le mie attività potrebbero sembrare tra loro distanti in realtà provengono dalla solita fonte ed hanno lo scopo di capire e narrare l’architettura. L’alfabeto di quest’ultima è lo spazio ed io affronto il progetto come un’attività narrativa.
In Italia abbiamo grandi esempi di approccio architettonico simili alla mio. Sto pensando in particolare a Gio Ponti che, contemporaneamente all’attività di progettista, nel 1928 fondò la rivista Domus. In seguito diventò professore ordinario della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano.

I social network, che ogni giorno pubblicano centinaia di migliaia di immagini di design e architettura, possono davvero aiutarci a conoscere queste materie?

Secondo me no.
Per fare un esempio, se vai al supermercato puoi vedere una grande quantità di alimenti. Se vuoi capire come nascono e da dove provengono devi avere pazienza e dedicare più tempo alla tua ricerca. La soluzione è quindi uscire dal supermercato e andare in campagna.
La conoscenza deve avere il tempo di maturare ed il lettore deve essere consapevole. Oggi la conoscenza è molto più diffusa ma meno profonda. Abbiamo computer potentissimi e macchine a controllo numerico che possono fare cose grandiose. Gli antichi invece hanno fatto cose straordinarie grazie alla capacità manuale ed alle grandi idee che la supportavano. Il progetto è comunque un progetto a prescindere dallo strumento che uso per realizzarlo.

Secondo lei quali sono le caratteristiche imprescindibili che uno studente di architettura deve avere all’uscita dall’università?

Una grande passione!
Dentro i propri progetti deve mettere passione. Il talento si può coltivare.
Questo è un lavoro durissimo e solo se sostenuti da una grande passione possiamo praticarlo. Il mestiere dell’architetto va considerato un lavoro non canonico perché “l’architettura è un’arte”. Se non comprendiamo questo aspetto l’architettura diventa una professione.
“Inorridisco” quando sento alcuni nostri colleghi che si definiscono tecnici. La tecnica è un mezzo non un fine. L’architettura si deve praticare con sentimento, il suo fine non è accatastare mattoni! Lo ripeto: l’architettura è un’arte.
Purtroppo in Italia, e non solo, la legge consente a chi non è architetto di praticare la nostra professione; questo è un gravissimo errore. L’architettura attraverso “l’arte del costruire” può cambiare e modificare l’aspetto della crosta terrestre. Questa grande responsabilità dovrebbe essere affidata soltanto a persone che hanno realmente tale professionalità e coscienza dell’importanza del loro lavoro.

Potrebbe dare un giudizio alla qualità delle nostre università di architettura all’interno del panorama mondiale?

Le nostre università essendo le peggiori sono le migliori!
Mi spiego meglio. Purtroppo, spesso l’insegnamento è di bassa qualità e se uno studente vuole ottenere dei risultati deve imparare a studiare ed approfondire le cose da autodidatta. Per fare ciò serve passione, determinazione e capacità di prendere decisioni in maniera autonoma. Tale situazione fa diventare le nostre università molto selettive e tale tipo di formazione anche se “inconsueta” permette di avere laureati di ottima qualità, solo chi ha delle notevoli doti riesce a terminare gli studi.
Altro fattore importante è il contesto, uno studente che studia in un’università italiana quando percorre le strade della città è circondato ovunque da capolavori di arte ed architettura. Il suo percorso formativo prosegue anche fuori dai libri universitari perché vive in un luogo plasmato dall’arte.

Mercato di San Lorenzo, Florence, Italy / 2014.

Ed adesso parliamo con il progettista. Archea è uno degli studi di architettura più importanti d’Italia e realizza progetti in tutto il mondo, nelle più svariate scale e tematiche. Tra gli ultimi progetti possiamo trovare la ristrutturazione di un’abitazione privata fino ad arrivare alla Cantina Antinoriper poi passare al completamento di uno stadio. Come riuscite ad ottenere questa grande flessibilità?

A Gropius piaceva dire che l’architetto progetta “dal cucchiaio alla città”.
Il problema della scala dimensionale non poi è così importante. A scale diverse corrispondono pesi diversi da equilibrare, ma si parla sempre e comunque di progettazione. A noi piace lavorare a scale diverse. Attualmente stiamo lavorando ad un progetto di masterplan per ampliare una parte di Mosca e allo stesso tempo siamo impegnati nella progettazione di prodotti di design.
Nell’affrontare un progetto, a prescindere dalla scala, quello che conta è fare un profondo lavoro di ricerca. Le idee devono essere supportate dallo studio, che sta a monte. Per fare un esempio, nel 2004 insieme a Vincenzo Pavan ho scritto un libro sull’architettura delle cantine. Questo lavoro è risultato un’importante risorsa quando in seguito ho affrontato il progetto della Cantina Antinori.

Cantina Antinori , Bargino, San Casciano Val di Pesa, Firenze - Italia 2004-2013

Archea ha uno stile architettonico che rispecchia molto la contemporaneità. Con questo voglio dire che guardando un vostro progetto possiamo capire quale era l’”humus culturale” del periodo in cui è stato realizzato. Archea è come una pianta che si nutre del presente. Questo vi ha permesso di rimanere distaccati da qualsiasi formalismo. Potrebbe essere una giusta interpretazione?

Per l’architettura questo è un periodo straordinario perché viviamo in un epoca piena di stili che spesso sono tutti più o meno validi. All’interno di questa situazione culturale nell’affrontare un progetto possiamo svincolarci dalla forma e concentrarci su i contenuti.
Quello che per me è fondamentale è impostare una metodologia di lavoro.
I nostri progetti partono dai luoghi. A contesti diversi corrispondono architetture diverse.
Lo stile è un qualcosa che ha a che vedere con la calligrafia mentre per noi sono più importanti i contenuti.
Come già detto per me l’architettura è arte, ciò che conta è il rapporto tra contesto e testo. Lo stile con cui mi esprimo è ovviamente importante, ma è solo di supporto al significato che voglio esprimere. La forma deve essere vista come conseguenza del contenuto.

YANQING GRAPE EXPO, Yanqing (Pechino) - Cina / 2014

Come nasce un progetto in Archea? Potresti descrivermi a grandi linee il vostro metodo per affrontarlo?

La prima fase è capire attentamente le esigenze del committente a tutto tondo. La seconda fase è assaporare lo “spirito del luogo”. Una volta acquisite le molte informazioni necessarie, provenienti dalle numerosi fonti, passiamo all’elaborazione di un’idea progettuale e quindi a darne un’interpretazione.
Come diceva Aldo Rossi “l’architetto è come un regista” perché la sua opera nasce dalla capacità di amalgamare e dirigere l’operato di tanti mestieri.

FACCIATA IN ACCIAIO E VETRO PER LA PERFETTI VAN MELLE, Lainate, MIlano / 2005-2011

Un’ultima domanda. Negli ultimi decenni si stanno affermando nuovi metodi costruttivi e l’utilizzo di materiali sempre più all’avanguardia, anche nell’ambito delle abitazioni private. Mi riferisco alle costruzioni in legno o in acciaio con metodologia a secco. In futuro questi metodi potrebbero diventare di uso comune?

Direi di sì.
Mi piace confrontare la tecnologia a secco con il significato di permanenza. Se penso all’architettura romana il tema della permanenza era centrale. Un’architettura come quella a secco è destinata a non durare e può essere completamente riciclata. Vorrei farti una domanda: preferisci una bottiglia di plastica riciclata oppure una bottiglia di vetro?
In questo presente fatto di certezze relative e transitorie forse vorrei che almeno l’architettura continuasse ad essere qualcosa di permanente.

CDD – CENTRO PER DISABILI Seregno, Monza - Brianza / 2003-2012

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