Intervista a Kazuyo Sejima – SANAA
di Andrea Carloni e Eleonora Spilli – Giugno 2018
A giugno, in occasione dell’apertura della “Biennale di Venezia”, abbiamo avuto l’opportunità di incontrare ed intervistare Kazuyo Sejima dello studio giapponese SANAA.
Alcune delle loro opere sono state rivoluzionarie nella percezione dello spazio ed hanno segnato l’inizio di un nuovo modo di vedere l’architettura.
La loro continua ricerca e sperimentazione è stata premiata nel 2010 con il Pritzker Architecture Prize, il più alto riconoscimento a livello mondiale in ambito architettonico.
Per questa Biennale, SANAA ha realizzato una grande spirale acrilica trasparente esposta all’interno dell’Arsenale. Il progetto è stato curato a livello dimensionale dallo Studio Arup mentre la struttura in resina è stata realizzata da I&S, azienda italiana leader nel settore.

Guardando le planimetrie di alcuni vostri progetti, come “21st Century Museum of Contemporary Art” di Kanazawa e “Glass Pavilion” al Museum of Art di Toledo, gli spazi funzionali sembrano “galleggiare” all’interno del perimetro dell’edificio. Ogni vano è fisicamente indipendente da quelli limitrofi. Perché è nata l’idea di creare volumi tra loro indipendenti fisicamente?
Nel “Museo di arte contemporanea del XXI secolo” in Kanazawa abbiamo deciso di organizzare liberamente l’esibizione delle varie parti, in modo che fossero indipendenti le une dalle altre. A questo punto abbiamo collegato tutto il programma allo spazio circolare di vetro. L’anello modella la forma esterna dell’edificio e crea una serie di relazioni con la varietà degli ambienti, senza nessuna gerarchia. Senza fronte o retro, il perimetro vetrato curvo si apre dolcemente nel paesaggio circostante. Per quanto riguarda il “Museo d’Arte” di Toledo, il tutto è organizzato attraverso strati di parete trasparenti. In questo modo la circolazione attraverso gli spazi del museo è arricchita dal verde del parco circostante. Per entrambi i progetti gli spazi intermedi si connettono all’interno e all’esterno in modo morbido.

Anche se i vostri progetti hanno un’estetica così ben delineata, sembra che la forma sia fortemente influenzata dal processo di ricerca che sta dietro. Quali sono gli step fondamentali del vostro processo compositivo?
Siamo molto interessati alla relazione tra natura e architettura. È molto importante per noi visitare il luogo e cogliere i diversi aspetti dell’ambiente generale prima di iniziare ogni progetto. Dopo studiamo e sviluppiamo schemi di base basati sull’ambiente, il programma e le peculiarità di ogni situazione. Lavoriamo duramente durante questo processo per realizzare un progetto che si adatti e aggiunga certe qualità alla realtà specifica con cui ci stiamo confrontando. La nostra ricerca si basa su modelli fisici. Questi sono molto utili per verificare le proporzioni e le relazioni spaziali in tutto il progetto.

Nella vostra installazione al “Mies van der Rohe Pavilion” di Barcellona avete inserito una spirale trasparente all’interno della costruzione, l’esistente è rimasto praticamente intatto. Ma la vostra superficie, quasi invisibile grazie alla lieve deformazione provocata dalla curvatura, rivoluziona la percezione dell’edificio di Mies van der Rohe. Quale ė il ruolo della luce nelle vostre architetture?
Mies Pavilion è collegato all’esterno attraverso un cortile ed uno spazio in cui entra luce naturale e vento. La nostra installazione è stata realizzata in acrilico, è stata pensata per far sì che le persone che vi entrano percepiscano qualcosa di nuovo mentre sentono la qualità dello spazio del Mies Pavilion. Ho sperimentato una percezione diversa dal solito mescolando lo spazio architettonico che di solito vedo con il paesaggio riflesso dall’acrilico trasparente. A causa della differenza di luminosità prodotta dalla luce naturale, il pannello trasparente conferisce diversità al paesaggio riflesso. Penso che questa nostra installazione crei un paesaggio con diverse impressioni.

L’installazione che avete fatto in occasione di questa Biennale di Venezia è una grande spirale trasparente. Com’è nata l’idea e cosa volevate trasmettere con questo progetto?
Il tema di questa Biennale è stato Freespace. Poiché la nostra mostra è stata decisa per essere ambientata nell’Arsenale abbiamo fatto una serie di studi per capire cosa potevamo creare. Tra questi abbiamo deciso di creare riflessi sovrapposti attraverso tortuosi tondi in plexy. Ci sono piccole finestre nell’Arsenale; portando lo scenario esterno verso lo spazio interno con i riflessi, le persone guardando al paesaggio interno vorrebbero mescolare queste differenti immagini. Volevo rappresentare paesaggi così diversi all’Arsenale.
