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Fabio Novembre: indossare panni diversi ad ogni nuovo progetto

Aprile 2020

NAME:

Fabio Novembre

WORDS:

Nico Fedi e Paolo Oliveri

LINKS:

Fabio Novembre website

…i momenti importanti coincidono sempre con gli incontri importanti.

Quando i progetti sono figli della consuetudine, bisognerebbe fare un passo indietro

Quello che noi ancora definiamo “design italiano” non è altro che un sistema di imprese legato a piccoli numeri ma a grande qualità

Personaggio fuori dagli schemi e dotato di un forte carisma, Fabio Novembre mescola nel suo percorso architettura, design, allestimenti e interni, grazie all’utilizzo di un linguaggio mai scontato e sempre in cerca della novità. L’amore per il corpo femminile, i vortici trasformati in flussi di energia, ma anche una reintepretazione delle architetture della sua terra di origine (la Puglia), rendono ogni suo progetto un “primogenito”, mai figlio della consuetudine e della riproposizione.

Fabio Novembre ph: Luigi Milano

Quali sono i momenti più importanti del tuo percorso formativo? 

Nel mio caso i momenti importanti coincidono sempre con gli incontri importanti. Da prima della scoperta dei neuroni specchio sono sempre stato un convinto sostenitore della crescita attraverso la relazione tra esseri umani. Dai genitori che mi hanno costruito fondamenta, agli amici che mi hanno offerto confronto, ai maestri che mi hanno aperto possibilità, alle donne che mi hanno insegnato amore, alle figlie che mi hanno donato ali.

Fabio Novembre - Venus per Driade - 2017

Come ti muovi quando ricevi un nuovo incarico, o ti approcci ad un nuovo progetto?

Mi sento come un serpente che fa la muta della pelle. Indosso panni sempre diversi per vivere la nuova esperienza come fosse la prima, come se non avesse precedenti, senza alcuna casistica di riferimento. Ogni progetto, come ogni amore, ha il diritto della primogenitura. Quando i progetti sono figli della consuetudine, bisognerebbe fare un passo indietro e lasciare che il ricambio generazionale si faccia vettore di nuove istanze, con rinnovata energia.

Fabio Novembre - IceDream per Sammontana - 2019

Fai differenza, a livello mentale, tra design e architettura?

“Dal cucchiaio alla città” è uno slogan coniato da Ernesto Nathan Rogers nel 1952. Si può dire che questa definizione ha caratterizzato la cultura italiana del progetto dal dopoguerra fino ai nostri giorni. I progettisti italiani fino alla mia generazione si sono formati nelle università di architettura, ed hanno affrontato il design con gli stessi strumenti critici e tecnici. Io ho sempre usato una metafora filmica per comparare design e architettura: gli oggetti sono cortometraggi e gli edifici veri e propri film. La differenza è essenzialmente nel budget, perché poi è richiesto lo stesso livello di abilità. Ma tutto il processo è incentrato sul raccontare storie attraverso lo spazio, con un plus tridimensionale che nessun’altra disciplina permette.

Fabio Novembre per Lamborghini - 2017

Il design italiano contemporaneo e il rapporto con quello estero: su cosa credi dobbiamo puntare e cosa invece rimodellare?

Quello che noi ancora definiamo “design italiano” non è altro che un sistema di imprese legato a piccoli numeri ma a grande qualità, che ha innovato il linguaggio della domesticità dal secondo dopoguerra fino ai giorni nostri. Ma pensare di detenere il monopolio del gusto è assai presuntuoso oltre che impossibile. L’identità italiana è un concetto su cui dovremmo tutti interrogarci per provare a ridefinirlo nei termini della contemporaneità, senza tener conto di rendite di posizione ormai scadute. Vedi, quando diciamo frenchfries non è scontato pensare alla Francia. Le patate sono originarie del Sud America e diventarono popolari in Europa soltanto nel sedicesimo secolo. Quello che fu probabilmente inventato in Francia nel diciottesimo secolo si è poi diffuso nel mondo con il nome di frenchfries. Parlare di design italiano è un po’ la stessa cosa. Si tratta di un fenomeno nato in Italia nel secondo dopoguerra in una condizione di necessità stimolata dai bisogni di ricostruzione. La famosa «arte di arrangiarsi», portò quella generazione a reinventarsi un mondo partendo dagli oggetti per la casa, ricominciando dal cucchiaio per arrivare alla città. Quella sensibilità progettuale, a lungo ritenuta monopolio italiano, oggi è espressa da eccellenze di qualsiasi provenienza. Frutti di generazioni nutrite con lo stesso cibo culturale che ha prodotto effetti massificanti, ma ha anche incentivato lo spunto individuale trasformando visioni personali in icone universali. Gli attuali protagonisti del design italiano sono francesi, olandesi, americani, giapponesi, australiani, spagnoli, tedeschi e anche italiani, ma senza forme di competizione creativa. Il senso stesso di competizione si è svuotato a favore della partecipazione. Anche le aziende italiane non possono pensare di mantenere questa supremazia per diritto naturale, il darwinismo contemporaneo cavalca la tigre della globalizzazione e in nessun settore esistono rendite di posizione. Il design italiano oggi non può più appartenere a un solo paese: è un totem, un diritto dell’umanità, come una porzione di frenchfries.

Fabio Novembre - Trulli per Kartell - 2018

Molti dei tuoi oggetti hanno forme che replicano quelle del corpo umano; ne colgono alcuni tratti e li reinterpretano. Come mai questa scelta?

La mia storia personale è segnata dallo sconfinato amore per il corpo femminile, fonte continua di ispirazione. Io riconosco la perfezione nel disegno delle sue forme. Il corpo e l’innamoramento ispirano qualsiasi mio ragionamento sul progetto semplicemente perché sono alla base di quell’esperienza unica che chiamiamo vita. Immersi nel flusso costante dell’evoluzione spesso dimentichiamo la carnalità legata al nostro sentire. Oggi l’evoluzione di tutto il mio lavoro si sta giocando tra la contemporaneità degli input e la primordialità degli output.

Fabio Novembre - Nemo per Driade - 2010

Secondo te c’è, e se c’è dov’è, il confine tra eccesso ed estro?

Sono per le frontiere aperte.

Qualche anno fa hai intervistato alcuni grandi maestri del design italiano, come Sottsass, Magistretti, Branzi, Mendini. Quali fra questi creativi ha lasciato più il segno nel tuo percorso, e per quale motivo?

Io ho amato i miei Maestri, non ho avuto il bisogno di ucciderli (metaforicamente) per evolvermi. Voglio pensare di averli interiorizzati. Mi piace immaginarmi con il carisma di Sottsass, l’ironia di Magistretti, la profondità di Branzi e la leggerezza di Mendini.

Mi sento come un serpente che fa la muta della pelle.

Io ho sempre usato una metafora filmica per comparare design e architettura:

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