Aprile 2020
Ho fatto con molta passione l’architetto per 15 anni, ma devo dire che per arrivare a completare un’opera architettonica serve molto tempo e questo non si addice al mio carattere.
Sarei molto soddisfatto del mio lavoro se sapessi che una persona è andata a vedere un’opera di architettura dopo che l’ha vista nelle mie foto.
Anni fa sono partito da Sanremo in Vespa e sono arrivato fino in Marocco!
Aldo Amoretti è un architetto che dopo aver praticato questa professione per diversi anni, ha deciso in età matura di cambiare lavoro e di diventare un fotografo di architettura. Fin da subito i suoi scatti hanno avuto successo e gli hanno permesso di vincere importanti premi e farsi notare sul panorama mondiale. Oggi Aldo Amoretti può vantare tra i suoi clienti alcuni degli studi più acclamati del pianeta, Peter Zumthor, BIG e Snøhetta solo per citarne alcuni. Parlando con Aldo Amoretti si percepisce chiaramente come nonostante nella sua vita abbia avuto modo di vedere e fotografare molte opere, sia rimasta intatta in lui la passione di conoscere e capire profondamente l’architettura.

Prima di diventare un fotografo professionista facevi l’architetto. Tutto ciò quanto ti aiuta nella tua professione?
Ho fatto con molta passione l’architetto per 15 anni, ma devo dire che per arrivare a completare un’opera architettonica serve molto tempo e questo non si addice al mio carattere. La fotografia mi è sempre piaciuta, solitamente ritraevo personalmente i miei lavori di architettura. Un giorno, dei miei amici, titolari di uno studio, mi chiesero di fotografare un loro lavoro che fortunatamente venne poi premiato e molto pubblicato. Da quel momento non ho più smesso di fotografare.
Che rapporto hai con la committenza? Prima o durante lo shooting ti viene spiegato il progetto? Di solito ci sono delle richieste comuni?
Solitamente prima dello shooting studio il progetto.
Con piacere guardo e analizzo le tavole di progetto, le foto che ci sono già e le eventuali relazioni dell’architetto. Faccio tutto questo per cercare di capire l’intenzione del progettista. Queste informazioni mi permettono di fare una lettura più completa del progetto quando sono sul posto.
Gli architetti sono incuriositi del tuo punto di vista?
Si, sono curiosi di sapere come vedo il loro lavoro e questo mi permette di avere libertà espressiva durante lo shooting.
Ti vengono mai suggerite delle inquadrature?
Nei lavori importanti direi di no.
Durante lo shooting scatti molte foto?
No, ma nemmeno pochissime.
Mi piace lavorare con più condizioni di luce e questo mi porta a ripetere la stessa inquadratura più volte durante la giornata.
Nella tua carriera hai fotografato autori che realizzano un’architettura intimista come Peter Zumthor o altri che possono essere considerati quasi all’opposto perché molto scenografici come BIG o Snohetta. Come ti rapporti con architetture così diverse?
Fotografo autori diversi con approcci diversi. Ricordo che per fotografare il Mine Zinc Museum ho passato tre giorni nel silenzio assoluto della foresta norvegese raggiungendo quasi uno stadio di simbiosi con l’architettura che stavo fotografando. Dopo tutto questo tempo riuscivo a percepire ogni minima variazione di luce ed atmosfera, capaci di influenzare l’aspetto dell’architettura.
Questo approccio mi ricorda molto la fotografia naturalistica.
Quando ho fatto il lavoro “Amager Ressource Center” di BIG il mio modo di scattare è cambiato completamente perché è diventato dinamico e veloce, quasi come quello di un fotoreporter.
Durante un progetto quando capisci che non c’è più bisogno di fare altre foto?
Detto in poche parole, quando non ho più voglia di fare le foto.
In pratica, quando hai finito le energie?
No, smetto perché sento di essere soddisfatto e quindi non trovo più l’esigenza di continuare.
Alcune volte impiego poche ore, altre mi occorrono dei giorni.
Secondo te il lavoro del fotografo può contribuire a far capire un progetto?
Sicuramente aggiunge un punto di vista. Sarei molto soddisfatto del mio lavoro se sapessi che una persona è andata a vedere un’opera di architettura dopo che l’ha vista nelle mie foto.
Ho notato, come anche nel tuo caso, che spesso un architetto chiama sempre il solito fotografo. Come te lo spieghi?
Forse perché vede la propria architettura raccontata nella maniera che farebbe lui.
Fare il fotografo di architettura vuol dire anche muoversi molto. Che rapporto hai con il viaggio?
Mi piace molto viaggiare. In realtà mi piace proprio la sensazione di muovermi e di attraversare la spazio. Trovo emozionante allo stesso modo percorrere le strade di una città o della campagna oppure muovermi all’interno di un edificio.
Mi piace molto viaggiare in moto ed alcune volte fare dei viaggi che sono quasi delle sfide. Anni fa sono partito da Sanremo in Vespa e sono arrivato fino in Marocco!
Immagino che questi viaggi non siano per lavoro…
In realtà era uno di miei primi lavori, dovevo realizzare un reportage sulll’Expo di Lisbona del ’98 che ho pubblicato su Abitare. Mi trovavo a Sanremo, misi l’indispensabile nello zaino e iniziai questo lungo viaggio con la mia Vespa 125 Primavera, che mi portò ad attraversare tutta la Francia e la Spagna.
Una volta arrivato in Portogallo la mia meta era ancora lontana perché dovevo raggiungere molte città ed intervistare diversi architetti che avevano partecipato all’Expo. Dopo aver attraversato tutto il Portogallo decisi di scendere fino allo stretto di Gibilterra e imbarcarmi verso il Marocco. Sono tornato in Liguria dopo due mesi.